MaAlMamandi - Sant'Ermacora protovescovo Patrono di Udine e Protettore del Friuli

In occasione della ricorrenza dei Patroni del Friuli Santi Ermacora e Fortunato, il nostro fan anonimo* ci ha fatto pervenire questo testo manoscritto da una ricercatrice cartomante vulvana dell’Università di Sorkalaewka sul Don.

Su pai monts

vicin al lac

al viveve un besteon.

Cul sol flât al impestave

dut il mond e la valade.

Questa era una delle filastrocche ripetute dai nostri vecchi quando, nelle sere non ancora inondate dal chiarore degli schermi televisivi, venivano invitati a raccontare gli straordinari avvenimenti del Fontanon. Una storia accaduta, come tutte le altre degne di questa reputazione, tanto, ma tanto tempo fa. E vera, talmente vera da essere considerata a tutti gli effetti una leggenda.

Sopra Timau, un antichissimo borgo in frazione di Paluzza, si arriva al passo di Monte Croce Carnico, ultimo avamposto friulano prima di godere dei verdi paesaggi boschivi della Carinzia. Dalle ripide e verticali pareti del Monte Croce nasce, erompendone direttamente dal fianco roccioso, il fiume But.

Questo sgorgare impetuoso e improvviso ricorda agli affascinati visitatori di sempre lo zampillare di una gigantesca fontana. Da qui il nome, appunto, di Fontanon.

Si narra che in epoche lontanissime la zona fosse abitata da una creatura gigantesca e mostruosa. Crestata e con la pelle ricoperta da durissime squame, la bestia andava annoverata di diritto nella categoria dei draghi. La convivenza con esseri del genere può diventare quantomeno scomoda, se questi iniziano a considerarvi come la principale fonte di proteine della loro dieta. Ma il drago di Timau si faceva temere anche per un’altra caratteristica, che lo contraddistingueva dagli altri esponenti della sua specie. L’alito!

Una fiatella mefitica e pestilenziale, utilizzata dal rettile per trasformare le acque del fiume in una putrida melma velenosa, dalle proprietà organolettiche discutibili. Gli abitanti della valle del But erano tenuti in scacco dall’animale che, non pago di ammorbare l’acqua potabile, uccideva indistintamente chi si avvicinava all’antro dove viveva.

Ma la bestia non si doveva preoccupare troppo dello spirito d’iniziativa dei locali. Composta per lo più da contadini, la popolazione era avvezza a zappare la terra, ad andare a letto con le galline, ma poco incline a snidare creature mitologiche da luoghi inaccessibili, per passarle poi a fil di spada.

Non riuscendo a cavarsela da soli, i villici cercarono di rivolgersi a qualche difensore di oppressi dal nobile spirito guerresco, ma di eroici cavalieri non ebbero notizia.

Si indirizzarono perciò verso qualcuno in grado di utilizzare una delle armi più potenti fra quelle conosciute, molto più micidiale di qualunque armamentario bellico. La Fede!

Putacaso, in quel mentre rientrava dalla via romana di Monte Croce Carnico, dopo un pellegrinaggio in Germania, Sant’Ermacora che, intercettato prontamente dai disperati abitanti del luogo, fu messo a parte della situazione.

Anche se le cronache non riportano come il religioso affrontò la tenzone, piace immaginarlo stagliarsi, tolkieniano e definitivo, sulle verdi acque correnti. Pronto a colpire a ogni increspatura di flutto, fulminando preventivamente salamandre e batraci, il sant’uomo si trovò finalmente a incrociare i guantoni col temuto nemico.

Possiamo solo supporre ciò che ne seguì: anatemi contro alitate letali, mani imposte a bloccare artigli ghermitori, folgori, saette, turbinii d’acqua, nubi squarciate per far filtrare repentini fasci di luce. Silenzio.

Dai fumi della battaglia si materializzò vittorioso il protovescovo, che dopo esser stato festeggiato e omaggiato da tutte le genti della valle del But potè far rientro nella sua amata Aquileia. Dove fu brutalmente martirizzato da Nerone, poco tempo dopo.

Così finiva la storia dei nostri vecchi, raccontata dietro alle mura di freddi fienili o all’ombra di nodosi ciliegi in cortili assolati, anche se…

… anche se, in certe notti senza luna, sembra si sentano ancora oggi provenire dal cuore della Creta di Timau fruscii sinistri, sibili e cupi brontolii. E questo sono pronti a giuralo gli abitanti della valle, se siete disposti a sciogliere loro la lingua con poche dozzine di tajs di neri e sgnape di prugne come se piovesse.

*ne abbiamo solo uno e non sappiamo chi è

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