Alla fine abbiamo deciso. E quindi pubblichiamo l’incipit del primo capitolo del capolavoro letterario e filosofico del geniale scrittore underground Philip K. Azzo, Da Progetto Divino a Sacchi di Merda, di cui abbiamo il privilegio di possedere una ormai introvabile copia.
Da leggere con religioso e deferente rispetto.
Capitolo Primo
“Proprio una fabbrica del tubo, eh?”
“Mi sembra ovvio.”
“Beh, io all’inizio non me ne ero neanche accorto.”
“Non mi sembra una battuta divertente.”
“Guardi, non sto scherzando, a me interessava solo un posto di lavoro, quando ho letto che cercavano un aiuto cuoco aggiunto – con esperienza in alghe sulfuree – non mi sono posto il problema di cosa facesse l’azienda…”
“Ma non mi dire.”
“No, guardi, ehm…”, balbetta il bifolco in canottiera arabescata e pantaloni alla zuava, abbassando lo sguardo, “non volevo offenderla… è che questo è il mio primo giorno di lavoro… qua non conosco nessuno e allora… ehm…”
“E allora cosa?”, incalzo il buzzurro, che diventa paonazzo sotto il suo cappelletto a cono di paglia verde oliva.
“Guardi, mi scusi… ecco, io forse sono partito con il piede sbagliato…”
“Su questo sono perfettamente d’accordo”, stronco lo zotico, piantandogli lo sguardo negli occhi. La misura ormai è colma. Questi pezzenti devono imparare a stare al loro posto e portare rispetto. Eccheccazzo.
“Ehm… piacere… mi chiamo Benjamin…” bofonchia il villico porgendo la mano sudaticcia.
“Il piacere è tutto tuo”, taglio corto. Mai dare confidenza alla plebe.
“Beh… ecco… allora io torno al lavoro…”
“Ecco, bravo, torna dietro il bancone, che è meglio.”
Osservo il cialtrone ritornare al suo posto a capo chino, ciabattando sui suoi zoccoli tibetani in roccia basaltica. Robe da matti. Forse è uno psicopatico. Meglio rifargli la valutazione comportamentale. Non si sa mai.
“Ehm… scusi, con permesso…”, squittisce qualcuno alle mie spalle. Niente da fare, oggi va così. Non trattengo una sentita imprecazione che mi sgorga spontanea dal basso ventre e mi giro, per vedere chi è che rompe la tasche questa volta. No. Lui.
“Forse ha due minuti liberi… mi scusi…” biascica il nuovo mentecatto in tuta la lavoro rosa a strisce fucsia verticali, impreziosite da perline cromate in madreperla sintetica. Il prestigioso segno di distinzione del caporeparto della sezione estrusione del tubo. L’ultima persona al mondo che vorrei vedere. Un viscido parassita.
“Forse. Per fare che?”, taglio corto.
“Ci sarebbe un problema nel reparto… magari lei potrebbe…”
“Sicuramente potrei. Ma non voglio. Sei tu il responsabile, e sei lautamente pagato per risolvere i problemi. Arrangiati.”
“Ma vede…”, insiste la zecca.
“Tutto quello che vedo è che questa mensa fa schifo e tu non dovresti essere qua, ma nella tua sezione, a risolvere il problema che a quanto pare non sei in grado di affrontare”, lo stronco.
“Ma magari lei nella sua posizione di capo del sindacato…”, biascica a capo chino l’inetto,”vede, c’è stato un infortunio e…”
“Adesso basta!”, ruggisco all’opportunista profittatore, “riferirò alla direzione il tuo comportamento inqualificabile! E ti garantisco che domani avremo un nuovo caporeparto. Non sopporto gli incapaci, e ancora meno i ruffiani leccaculo!”
“La prego…” biascica il vile.
“Sparisci. Ho cose ben più importanti da fare che ascoltare i tuoi viscidi bofonchiamenti. E ritieniti fortunato se non ti spedisco sul fronte orientale. Capo chino, gira i tacchi, bocca chiusa e torna nel tuo loculo.”
Finalmente il parassita l’ha capita. Con me non si scherza. Ho la mia integrità morale, io. Come capo del sindacato devo difendere i diritti dei lavoratori. Che devono essere liberi di eseguire al meglio le mansioni assegnate loro. Con il cervello bello spento. Perché c’è chi è pagato per pensare, come il sottoscritto, e chi per eseguire. Eccheccazzo.
Ma adesso basta. Non permetterò a questi bifolchi di rovinarmi la serata. Mi aspetta la festa per l’estrusione dei primi cento chilometri del tubo per il trasporto del gasolio sintetico ecocompatibile. E voglio godermela. Se qualche operaio cerebroleso, magari sbronzo di distillato di krill, si è infortunato, sono affaracci suoi.
Raggiungo a passi decisi l’uscita della fabbrica del tubo. Nel parcheggio mi aspetta il mio nuovo velocipede monoruota girostabilizzato ad aria aromatizzata compressa. Una vera bomba. Stasera farò un figurone, voglio fare crepare d’invidia i cialtroni del direttivo. Fate largo, arriva Gondrano!
…
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